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Fortapàsc

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Sai cosa fa il giornalista ? raccoglie notizie e poi le scrive e non le elabora a suo piacimento” grida Sasà, il piccolo e petulante capo redattore dell’edizione di Torre Annunziata di Il Mattino, al giovane collaboratore precario in attesa di contratto, che ha invece abbracciato la professione con ben altre aspirazioni.

È l’estate del 1985, quando Giancarlo Siani, un ventiseienne di buona famiglia del quartiere residenziale del Vomero, laureato ed ex militante della sinistra alternativa, inizia la sua collaborazione con il quotidiano più importante di Napoli, indagando su fatti e misfatti della periferia vesuviana, verificando con scrupolo le informazioni, come sa fare un buon giornalista, soprattutto laggiù nell’inferno di Torre Annunziata, dove la camorra spadroneggia indisturbata.

Dopo una serie d’inchieste scottanti sul malaffare e sui traffici in corso nell’amministrazione comunale locale guidata da un sindaco corrotto, il giovane cronista, aiutato solo da un coraggioso capitano dei carabinieri, sua principale fonte d’informazione, è chiamato nella sede centrale del giornale. Lo aspettano l’assunzione e il trasferimento nella redazione che si occupa di questioni sindacali, molto meno rischiose.

Siani, un giovane come tanti, con una bella fidanzata ma distratto anche dal fascino d’altre donne, ama i concerti di Vasco Rossi e frequenta insieme agli amici i bar alla moda. Egli non rinuncia però a indignarsi per lo strapotere della camorra, per i magistrati pavidi e per i politicanti collusi e continua per suo conto a lottare a favore della legalità raccogliendo nuovi dati sugli appalti truccati, tenendo lezioni agli studenti dei licei sulla corruzione da lui messa in luce attraverso la sua attività giornalistica.

Questo onesto cronista non si rende conto però di aver fatto innervosire i malavitosi locali, in particolare il boss Valentino Gionta, già impegnato in una sanguinosa guerra contro altri clan per il controllo del territorio. La sera del 23 settembre 1985 è freddato da due killer, mentre sta parcheggiando la sua auto nel giardino di casa. La sua voce libera e coraggiosa è soffocata per sempre.

Con Fortapàsc Marco Risi torna al classico cinema d’impegno civile (dopo Mery per sempre, Ragazzi fuori, Il muro di gomma) dalle grandi tradizioni nazionali, dedicandolo alla memoria di suo padre, il grande Dino Risi, scomparso tre giorni prima dell’inizio delle riprese. Un film ben raccontato (emozionanti le sparatorie, irritanti i pranzi tra malavitosi, verosimili gli scontri in consiglio comunale e le riunioni segrete tra mafiosi), scritto insieme a Jim Carrington e Andrea Purgatori dal titolo volutamente storpiato, che evoca il Fort Apache della tradizione western rendendo il senso dell’assedio alla città da parte della malavita.

Oggi dopo dodici anni e tre pentiti sono stati finalmente condannati i mandanti e gli esecutori dell’omicidio dell’unico giornalista ucciso dalla camorra. Libero De Rienzo impersona, con il suo viso tenero e malandrino, Giancarlo Siani, ragazzo pieno d’allegria e di vitalità, che credeva nella giustizia. Al suo fianco gli ottimi Renato Carpentieri, Ennio Fantastichini ed Ernesto Mahieux.

Fortapàsc, lo speriamo, dovrebbe essere proiettato nelle scuole italiane per contribuire a formare nelle nuove generazioni una coscienza sociale e politica necessaria ad una società, come quell’attuale, profondamente smarrita nei suoi valori etici e morali.

2009. Italia. Regia di Marco Risi.

Con Libero De Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Ennio Fantastichini, Renato Carpentieri, Ernesto Mahieux.


Pierfranco Bianchetti
 
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