Avner, un giovane sabra, come sono chiamati gli ebrei nati in Israele, è un promettente agente del Mossad, il mitico servizio segreto israeliano, al quale è affidata nella più assoluta riservatezza, una delicatissima missione: eliminare tutti i presunti responsabili del sanguinoso attentato terroristico a Monaco di Baviera durante le olimpiadi del 1972.
L’uomo, trasferitosi in Europa, mette insieme una squadra di specialisti reclutati ovunque, in grado di portare termine il compito affidatogli.
Steve, un sudafricano, abile autista dei mezzi utilizzati per le fughe; Hans, un tedesco specialista nelle falsificazioni di documenti; Robert, un belga esperto in esplosivi e il silenzioso inglese Carl, incaricato di cancellare le tracce dopo ogni azione.
Pianificano le eliminazioni fisiche degli avversari che avverranno spesso senza clamore a Ginevra, Francoforte, Parigi, Cipro, Londra e Beirut.
Alcuni giorni prima di colpire i loro obiettivi Avnet convoca il suo gruppo a casa per pranzo o per cena, preparando con le sue mani i piatti, pasta, verdure, patate, carni che tutti insieme gusteranno discutendo amabilmente delle loro prossime esecuzioni.
Sono queste forse le sequenze più inquietanti di Munich, il film diretto da Steven Spielberg, che ha provocato un terremoto ancora prima di uscire nelle sale di tutto il mondo, facendo infuriare in particolare molti ambienti ebraici.
Perché il messaggio che l’autore di Schindler’s List e di Salvate il soldato Ryan propone è esplicito: la violenza provoca altra violenza in una spirale senza fine.
Lo dimostra la scena conclusiva del film, quando Avner, tornato dalla sua famiglia a New York in preda ai dubbi di aver percorso la strada giusta per combattere il terrorismo, vuole da Ephrain, il suo capo al Mossad, le prove sulla reale responsabilità nella strage di Monaco di coloro che sono stati ammazzati.
Otterrà una sola risposta: “ O loro o noi! “.

2005, Usa. Regia di Steven Spielberg.
Con Eric Bana, Daniel Craig, Ciaran Hinds, Matthieu Kassovitz

Pierfranco Bianchetti

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