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La prima linea

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È una fredda e plumbea giornata invernale quella del 29 gennaio 1979 a Milano. La città si è come sempre svegliata pigramente. In auto, in tram, in metropolitana i cittadini milanesi vanno al lavoro.

Così fa anche il giudice Emilio Alessandrini, sostituto procuratore della Repubblica, che in passato aveva contribuito ad indirizzare le indagini sulla strage di piazza Fontana verso le responsabilità dei fascisti con le coperture dell’Intelligence, ora impegnato nell’inchiesta sulle organizzazioni armate della sinistra. Il magistrato come di consueto lascia suo figlio davanti alle scuole elementari di via Colletta e si avvia in auto verso il Palazzo di Giustizia.

Un commando di terroristi del gruppo di Prima Linea, già responsabile d’altri episodi di sangue guidato da Sergio Segio, uno dei suoi fondatori, lo affianca e lo uccide senza pietà. La morte di Alessandrini è una delle sequenze più drammaticamente emozionanti e più crude del film diretto daRenato De Maria, che affronta con coraggio e tra mille polemiche una delle pagine più tragiche dell’Italia degli anni Settanta.

Tratto dal libro Miccia corta scritto dallo stesso ex terrorista, La prima linea ripercorre con uno stile asciutto e senza enfasi la follia di una generazione di giovani travolti da un’interpretazione dogmatica ed ideologica della realtà di classe del nostro paese. De Maria con il suo film prodotto da Andrea Occhipinti e dai registi belgi Jean – Pierre e Luc Dardenne, per la sceneggiatura di Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo e Fidel Signorile, vuole in qualche modo contrapporsi a un’evidente reticenza del nostro cinema ancora timoroso nel raccontare quegli anni di sofferenze e di lutti, che seguirono invece la liberatoria stagione del Sessantotto, il grande impegno per l’affermazione dei diritti dei giovani, delle donne e degli esclusi nella società italiana.

Migliaia di terroristi e decine di migliaia di fiancheggiatori, la maggior parte, oltre il 65% sotto i trenta e anche sotto i venti anni, scelsero ad un certo punto la lotta armata nel nome di una rivoluzione che pensavano ormai imminente. Scelsero di sparare, di ferire e di uccidere in una deriva che li travolse completamente. Interpretato con efficacia da Riccardo Scamarcio nel ruolo di Segio e da Giovanna Mezzogiorno in quello della sua compagna Susanna Ronconi, La prima linea percorre la strada dell’introspezione psicologica nel descrivere il terrorismo rosso esploso nella seconda metà del decennio lungo del secolo breve, evitando una vera ricostruzione storica e politica, a differenza invece del tedesco La banda Baader Meinhof, uscito lo scorso anno per la regia di Uli Edel e dedicato alla RAF, il gruppo armato che mise a ferro e fuoco la Germania degli anni Settanta.

Sergio e Susanna, due ragazzi appartenenti alla sinistra radicale, percorrono la loro discesa all’inferno passo dopo passo insieme alla loro formazione chiamata Prima Linea, la più vasta dopo le Brigate Rosse, responsabile di numerosi crimini contro quelli che ritengono gli avversari politici da colpire: i dirigenti della FIAT, gli agenti della Digos, professori universitari e giornalisti. Un’escalation che li porta all’uso abituale delle armi da fuoco e all’omicidio portato a termine con agghiacciante semplicità.

Raggelante è in questo senso la confessione davanti alla telecamera della polizia di Segio - Scamarcio, prigioniero nel carcere di Torino nel novembre 1989. Con i suoi occhi persi e smarriti egli riassume la sua storia: l’uso della violenza come battaglia politica, la clandestinità, i ferimenti, gli assassini, i rari e strazianti incontri con i suoi genitori preoccupati e spaventati dalla strada che lui ha deciso di percorrere. E ancora i drammatici faccia a faccia con l’amico Piero, compagno militante per anni di tante avventure, ma deciso oppositore della lotta armata ed impegnato senza riuscirvi a farlo desistere dai suoi propositi deliranti.

L’ uomo, ormai trentacinquenne, ricorda ancora gli episodi più sanguinosi della sua carriera di terrorista, tra i quali l’assalto al carcere di Rovigo per liberare a colpi di mitra e di bombe la compagna Susanna e quattro altre detenute e ammette quasi con candore di avere sbagliato tutto, di aver rovinato la sua vita e quella delle sue vittime, lasciando nello spettatore irrisolto l’interrogativo principale del film: perché tanto dolore e tanta distruzione di giovinezza ? Una riflessione, di là delle feroci critiche piovute sulla pellicola ancora prima della sua uscita nelle sale, che gli storici, i politologi, la cultura e quindi anche il cinema alla fine saranno obbligati ad affrontare.

2009. Italia/ Belgio. Regia di Renato De Maria.
Con Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione.

Pierfranco Bianchetti
 
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