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Giocolettura, 10 Scrittori in circolo 2024

Parte il treno portando con sé gioie e dolori

Giocolettura "10 Scrittori in circolo"

In questi giorni trascorsi ci si domandava l'origine della lettura a voce alta.

Nei tempi antichi si costruivano teatri adatti a accogliere spettatori e a favorire l'acustica; si recitavano commedie e drammi, si leggeva e recitava a voce alta per essere intesi.

Le recitazioni pubbliche erano veri e propri spettacoli letterari.

In tempi più recenti, dall'anno Mille, si riunivano nei conventi le comunità religiose, monaci e monache. Leggevano a voce alta, a turno, la Bibbia, i Salmi e altre letture sacre. Fortificavano la fede e cercavano la pace interiore. Le biblioteche erano ricche di splendidi volumi, vergati a mano e illustrati con preziose decorazioni.

Nel '700 fiorirono i Caffè Letterari, nelle case patrizie la padrona di casa ospitava amici e conoscenti; si leggevano scritti dei letterati allora in voga.

GIOCOLETTURA “10 scrittori in circolo” riprende queste abitudini del passato

I presenti leggeranno a voce alta come un tempo. E con i libri di dieci scrittori racconteranno storie in treno, vere o fantasiose: viaggi, misteri, passioni umane

Gli antichi ambienti di Villa Trabia ospiteranno un originale gioco letterario basato sulla tematica:
PARTE IL TRENO PORTANDO CON SÈ GIOIE E DOLORI

Ordine di lettura:

  1. La rotaia e il treno di Stefano Maggi
  2. C'era una volta il treno di Franco Piccinelli
  3. La stazione di Jacopo De Michelis
  4. Il casellante di Andrea Camilleri
  5. L'Italia in seconda classe di Paolo Rumiz
  6. Un altro viaggio nelle Marche di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri
  7. Scompartimento n.6 di Rosa Liksom (Finlandia)
  8. Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj
  9. Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie
  10. Mary Ventura e il nono regno di Sylvia Plath (Boston)

A cura di riquadro.com

Redazione: Claudio V. Riolo, Lucina Gandolfo, Massimo Chioni (Ancona), Gianni Usai, (Genova)

Di seguito i libri selezionati

La rotaia e il treno
di Stefano Maggi

Due secoli di sviluppo. Stefano Maggi, professore di storia contemporanea, illustra il lungo viaggio della Ferrovia da fine ‘700. Non un’invenzione ma lo sviluppo del binario, del carro e delle ruote; il treno è favorito dalle guerre napoleoniche e dai minori costi. Poi in Inghilterra fu presentata la carrozza a vapore. Ma si noti che furono i Papi a organizzarsi con tre tipi di treno per gli spostamenti: treno di campagna, di mezza gala, di gala.

Lettura condivisa:
Dai primi esperimenti di macchine a vapore all'alta velocità, sono ormai due secoli che il treno è presente in gran parte degli Stati del mondo, dove ha attraversato varie fasi di sviluppo e anche di crisi. In alcuni Paesi, il treno ha cominciato la sua vicenda molto prima della rivoluzione industriale, con i binari nelle miniere.

Le origini di treno e ferrovia sono poco conosciute. Vale la pena di ricordarle in breve, per comprendere gli aspetti salienti di questo libro, che è dedicato ai progressi sociali, tecnici ed economici del cosiddetto "trasporto su rotaia".

La parola "treno" deriva dal latino trahere (tirare), modificato nel provenzale train, che è comune alla lingua francese e inglese. Prima dell'epoca ferroviaria, il termine "treno" significava un "equipaggio singolo", costituito da un seguito di carrozze, di servi e staffieri, a cavallo o piedi, con cui viaggiavano o sfilavano in pubblico sovrani, principi, ricchi signori. Un esempio: «il principe lasciava la città per la villa, con un treno di dodici carrozze»¹.

Il vocabolo "rotaia" deriva invece da ruota, con il significato – prima che arrivasse la ferrovia – di "solco impresso dalle ruote dei veicoli sulle strade non lastricate o non asfaltate, o anche nel fango, nella sabbia e nella neve"². In questo caso, l’italiano è diverso dall’inglese e dal francese che condividono la parola rail. La rotaia, insieme alle traversine, compone il binario, formato da due rotaie, unite appunto dalle traversine, che erano in legno o in ferro, poi in cemento.

Le prime ferrovie furono dunque realizzate in un periodo antecedente alla rivoluzione industriale, per estrarre i minerali dall’interno delle miniere, poiché i vagoncini trainati da animali facevano molto meno attrito sui binari di ferro, rispetto a quelli che circo...

C'era una volta il treno
di Franco Piccinelli

Franco Piccinelli è nato in una stazione ferroviaria nelle Langhe a Neive, era bella e splendente, dipinta di verde. Due giardinetti curati, una fontanina. La vasta piazza alle spalle era sempre piena di gente che andava e veniva. Tre binari di corsa davanti e tre binari morti su un fianco. Piccinelli ha pubblicato il suo primo libro nel 1961 e ne ha pubblicati una trentina dedicati alla sua terra. Tradotto in inglese e francese ha ricevuto premi letterari prestigiosi, è famoso per le sue trasmissioni televisive e radiofoniche sul mondo contadino di ieri e sulla provincia italiana di oggi.

Lettura condivisa:
Il destinatario medio del cestino da viaggio era il passeggero di seconda classe, fin quando la suddivisione tariffaria di classi ne contemplava tre.
Prender su, dal carrello ambulante, il capace involucro di spessa carta bianca corredato da due cordoncini per manico, voleva dire essere qualcuno. Secondo la simbologia della prosperità, pescare nel cestino da viaggio era più che esibire oggi il telefonino a pile.
Chi lo acquistava aveva regolarmente a portata di mano l’orario generale dei Fratelli Pozzo, l’alico breviario in cartoncino con la copertina giallognola, cui il viaggiatore provetto chiedeva una energia di informazioni e le otteneva esaurienti da quel prezioso antenato del computer.
Sfogliandone le pagine, egli veniva a sapere non soltanto i tempi per le coincidenze, ma stabiliva l’eventuale ritardo del treno confrontando, al proprio orologio, la corrispondenza con le soste nei rilevanti stazioni importanti, dove facevano tappa i convogli diretti, quelli cioè che saltavano qualche fermata in più rispetto ai diretti.
Qualcuno crederebbe che, venuto in possesso del cestino, il viaggiatore subito vi frugasse dentro, almeno per la curiosità di scoprirne il contenuto.
Invece non accadeva nulla di tutto ciò, perché, se fosse accaduto, egli avrebbe rivelato un impulso impellente, poco giovevole alla compostezza, alla stessa dignità che, in caso diverso, si adagiava nella consapevole discrezione dai variegati richiami dello stomaco.
Avuto dunque il cestino, il viaggiatore lo appoggiava con noncuranza accanto a sé, ma poteva anche deporlo, ritto, sulla mensola mobile disposta fra i sedili dirimpettati, o lato della finestra ormai dotata di due automonti vetri a saliscendi sempre duri dasmuovere. E subito se ne dimenticava, o lo fingeva, ancora per raffinatezza.

La Stazione
di Jacopo De Michelis

Jacopo de Michelis, milanese abitante a Venezia, è impegnato nell'editoria di classe. Cavallo di razza come si immagina dal suo cognome, nipote sia del ministro Gianni, sia di Cesare, letterato e editore, per l'appunto, della Marsilio. Il giovane Jacopo nel 2022 ha pubblicato con Giunta Editore un romanzo di 857 pagine, un giallo che si legge in poche nottate. Storia d'avventura, 100 colpi di scena, non un attimo di tregua. Girato nei sotterranei della monumentale Stazione Centrale di Milano, ambientato tra scenografie inimmaginabili dai milanesi. Facile innamorarsi dell'ispettore Mezzanotte e della studentessa Laura.

Lettura condivisa:
...con la Questura, la Prefettura e il Compartimento di Polizia ferroviaria per la Lombardia.

L’ispettore Riccardo Mezzanotte stava sudando e il berretto gli pizzicava il cuoio capelluto. La giubba era troppo pesante e aveva l’impressione che gli impacciasse i movimenti. Non era abituato all’uniforme, alla Omicidi non la metteva praticamente mai.

Aveva scarsa esperienza di servizi di ordine pubblico, ma percepiva la tensione nei celerini che gli stavano attorno. Fino a un attimo prima chiacchieravano, scherzavano, qualcuno fumava una sigaretta. Da quando si era diffusa la notizia dell’arrivo imminente del treno erano immobili e muti, le mascelle contratte e gli occhi ridotti a fessure, le mani guantate che stringevano nervosamente i manganelli e le maniglie degli scudi in plexiglas, come a cercare una presa migliore, più salda.

Solo da pochi giorni Mezzanotte era stato trasferito alla Polizia ferroviaria, Settore operativo di Milano Centrale, e subito andava a finire in mezzo a un casino del genere. Non aveva nemmeno cominciato ad ambientarsi, il che tra l’altro si stava rivelando nient’affatto facile. Non che ne fosse sorpreso, considerata la sua situazione. Le cose andavano solo leggermente meglio che in Questura, quando ancora stava alla Terza sezione, la Omicidi. Anche lì, alla Polfer, in realtà, a manifestargli un’aperta ostilità non erano in molti: la maggior parte dei colleghi si limitava a stargli alla larga, con un misto di timore e diffidenza, quasi fosse il portatore sano di chissà quale morbo altamente infettivo. Ma era comunque dura fare il callo a certe cose. Capannelli che si scioglievano appena si avvicinava, conversazioni che s’interrompevano al suo ingresso in una stanza, frasi bisbigliate all’orecchio mentre lo guardavano di sottecchi. Trasferito, poi. Sarebbe stato più corretto dire esiliato. Perché di questo si era trattato, né più né meno: un esilio. Che aveva dovuto accettare dicendo pure grazie, per evitare conseguenze peggiori.

Il Casellante
di Andrea Camilleri

Ancora a Vigata, luogo di fantasia, Andrea Camilleri ambienta questo vivace racconto, teatro di fatti strani. Minica è la moglie del casellante Nino Zuccato. Vivono in una modesta casetta accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno. Vorrebbero la grazia di un figlio che finalmente sta per arrivare; il lettore assiste alle stranezze che accadono nel borgo e non finiscono mai grazie alla fantasia, anche tragica dell’autore, e al periodo burrascoso della seconda guerra mondiale.

Lettura condivisa:
S’accanoscivano tutti tra di loro e tutti accanoscivano ai machinisti e ai capotreno che facivano macari da controllori.

Certe volti i treni portavano in partenza liggieri ritardi pirchì qualichi passiggero bituali non era stato puntuali e il capotreno non aviva dato il signale di partenza aspittanno il ritardatario. Tanto che era addinnata di bona creanza avvirtili il capotreno se uno, il giorno appresso, non sarebbe potuto partirisi. Che non l’aspittassero a vacante.

’Na volta, alla cursa delle sei in partenza da Vigàta, non s’appresentò don Jachino Marzo, un sissantino che aviva un nigozio di stoffi a Sicudiana.

Doppo ’na decina di minuti d’aspittata, il capotreno spiò consiglio ai passiggeri: che doviva fari? La maggioranza fu per aspittarlo ancora per tanticchia. Ma don Aitano Fazio, uno dei sette che viaggiavano sempri in prima classi con don Jachino, proponì che qualciduno annasse a la casa di Marzo, che bitava a quattro passi dalla stazioni, per sintiri che ’ntinzioni aviva. Un volentiroso annò e tornò con la facci seria seria: Jachino Marzo era morto nella nottata, un colpo poplettico. In uno dei vagoni di terza, la maestra Iacolino recitò per tutto il viaggio, ’nzemmula ai presenti, rosari e prighiere in suffraggio del friscu difuntu. Il giorno dei funerali, tra le altre, ci fu ’na corona che portava la scritta: «I passiggeri del treno».

Fatta cizzione degli studenti che s’arripassavano le lezioni e delle maestre e dei maestri che avivano il giornali, gli altri passiggeri non erano gente di lettura e pas...

L'Italia in seconda classe
di Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, scrittore e viaggiatore, ha pubblicato questo esilarante racconto sulle pagine de la Repubblica nel 2002. Ritorna in piccolo formato con gli stessi fumetti di Altan e non perde nulla, anzi. Racconta un'Italia minore su treni sfasciati per un popolo dimenticato, lontano da benessere e serenità. Qui non c'è turismo, neppure hostess, né ladies né gentleman, tantomeno agi di prima classe. Da Olbia fino a Gorizia molte coste sono ancora appetibili.

Lettura condivisa:
La motrice che fa il giro dell’Etna non è una bomboniera per turisti. Si chiama Imba, ed è sgangherata e ruspante come un vecchio barocco polveroso carico di gloria dopo una vita a caccia di lepri. Parte dalla città alta tagliando il pendio vulcanico con perfecione euclidea, e poiché quel pendio è pieno di case, cocciolo che sfiora terrazze, lambisce panni stesi, accarezza donne in vestaglia, urta piante che sfregano, e guarda dentro stanze che odorano di bagni o camere da letto. È una Spaccanapoli, con in più gli alberi di fico.
Ma a un tratto tutto cambia e la città inclinata diventa una città detritica. Si entra in un labirinto di pietre laviche, discariche, fichi d’India, case non finite, buganvillee, sfascio, carrozze, immondizie. Eppure, nonostante tutto, che meraviglia. In cabina di guida, la realizzazione che nessun passeggero al finestrino saprà mai è la magnificenza di questa penetrazione frontale del paesaggio, un mare odoroso di ventagli di pistacchio color verde smeraldo, avvinghiati alla lava.
Il treno, ha detto qualcuno, ti dice il valore esatto della vita; non fai in tempo a vederla ed è già passata. Ma c’è un’altra fregatura, spiega il 740: «Se sbagli lato, sei fregato». Noi due abusivi invece, al lato giusto, in paradiso, non possiamo sbagliare. Becchiamo fotogrammi irripetibili. Specie quando il treno punta le ginestre, buca una nuvola di lava e ci mostra, tra due muri a secco, mucchi con la pece, le nevi dell’Etna in fondo all’orizzonte.
Incrociamo il trenino gemello che scende. Va così piano che i due macchinisti hanno il tempo di scambiarsi informazioni dal finestrino. Poi Imba, sfolgina (quattro novecentotredici, scende tra prati verdi verso Maletto, il paese delle fragole. La notte è nevicato in alto, l’aria è mattina e fresca. E sul verde pieno dei querci, sotto l’Etna, ci pare di essere nell’India del Nord, là dove la giungla meridionale tocca l’Himalaya.
A Randazzo il capotreno scende e ci indica una locan...

Un altro viaggio nelle Marche
di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

In tempi di aerei strapieni, di super suv ultra ingombranti, fa tenerezza il viaggio nelle Marche che fa scoprire meraviglie e senza fretta. Un viaggio quasi immobile nella terra natale di Maurizio e Paolo, pochi chilometri come i viaggi avventurosi pari a quelli di Giulio Verne e di Robinson Crusoe. Lontano dal turismo di massa, su treni regionali lenti come bradipi. Un viaggio splendido e gustoso, 8 giorni tra genti ricche d’arte e cultura, eredi di Raffaello e Leopardi.

Lettura condivisa:
...si comprime e si accorcia come nel treno della Relatività, sparato da Einstein alla velocità della luce. Ma è solo apparenza. In realtà, il tempo diventa noia, dunque si dilata. Porta a conclusioni opposte a quelle del grande mago della fisica. Paolini-740 dormicchia, ieri a Foligno si è preso una balla triste. Chianti e pessimismo nero. Uscendo da una taverna con la pioggia, ha guardato la città medioevale e ha detto: “È solo per una piazza così che Dio non stermina gli italiani”.

Penso, be’, almeno dormirò. Errore. Nel treno-sonno senti tutto, anche i sospiri. Figurarsi i telefonini. C’è uno che grida: “Il Menacci l’è furbo, il Menacci. L’ha fatto il budget coi clienti che gli s’è trovato noi”. I cellulari si svegliano tutti insieme, a ondate, parlano di lavoro anche in agosto. Annoto esilaranti dialoghi fuori posto tra sordi. Frasi spezzate come: “Signorina, se mi permette, lei è una cretina”. “Allora, la grafica la metto io?”. “No grazie, io la vorrei salata”. “Fammi sapere, ti ringrazio, ciao”.

L’Eurostar plana sull’Adriatico con il suo bla-bla aeronautico. Nel lazzaretto del reparto fumatori ci si vede appena. Nebbia densa, da effetti speciali di Spielberg, da fumaria thailandese. Ma dentro quel fumo c’è una silenziosa solidarietà fra reietti. Quando sale una ragazza senza soldi e senza biglietto, la fumisteria raccoglie spontaneamente il necessario e lo porta in delegazione al bigliettaio. Ma sì. Anche il Pendolino ha un’anima.

A Faenza siamo sazi di velocità, decidiamo di fuggire dalla maledizione rettilinea e dal risucchio di Milano, la piovra che ci cerca. Marco-740 mi trascina quasi a forza sulla più bella linea appenninica, la Faentina appunto. Il macchinista è romagnolo, dunque simpatico. Racconta che nella Grande guerra quella fu una linea strategica, perché lì, almeno, “gli austriaci non potevano bombarda...

Scompartimento n.6
di Rosa Liksom (Finlandia)

Rosa Liksom finlandese di una famiglia lappone e allevatori di renne, profonda conoscitrice del mondo russo che ci fa scoprire in profondità. Siamo negli anni ’80, sul leggendario treno della Transiberiana diretto a Ulan Bator, in Mongolia. Incontriamo una timida studentessa finlandese e un violento proletario russo. Tra gli immensi panorami di questa terra assistiamo alla scomparsa dell'Unione Sovietica, tra degrado, neve e la nostalgia di un popolo perso tra passato e futuro.

Lettura condivisa:
Mosca si rannicchiava nella gelida e secca sera di marzo per proteggersi dal contatto del sole al tramonto, rosso e freddo. La ragazza salì sull’ultimo vagone, in coda al treno, cercò il suo scompartimento, il numero sei, e tirò un profondo respiro. C’erano quattro cuccette, le due superiori ripiegate contro le pareti, in mezzo un tavolino, sul tavolino una tovaglia bianca, un vaso di plastica e un garofano di carta rosa sbiadita dal tempo; alla testa dei letti una mensola debordante di grossi fagotti legati alla bell’e meglio. Infilò la vecchia valigia di poche pretese, che le aveva regalato Zakhar, nello scomparto di metallo sotto la cuccetta dura e stretta, e gettò lo zaino sopra. Alla prima scampanellata dell’orologio della stazione andò ad affacciarsi al finestrino del corridoio. Aspirò il profumo del treno, polvere di carbone, l’odore depositato da decine di città e migliaia di persone.
I viaggiatori e i loro accompagnatori si facevano largo urtandola con borse e bagagli. La ragazza sfiorò con le dita il vetro freddo del finestrino e guardò il binario. Quel treno l’avrebbe condotta attraverso villaggi abitati da deportati, attraverso steppe e città chiuse della Siberia, fino alla capitale della Mongolia, Ulan Bator.

Sonata a Kreutzer
di Lev Tolstoj

L’amore nasconde il nudo desiderio sessuale, il sesso si serve di noi e ostacola chi aspira alla dimensione dello spirito. Nello scrivere questo stupendo romanzo sulla vita e l’amore Leone Tolstoj sfoga il suo rancore verso la donna, la negazione della vita e della gioia. Nello scompartimento di un treno, presente anche una signora e Pozduysev che ha ucciso sua moglie, si disquisisce dei rapporti d’amore tra i coniugi.

Lettura condivisa:
S'era all'inizio della primavera. Noi viaggiavamo da due giorni. Nella vettura ferroviaria entravano e uscivano passeggeri, ma tre di essi soltanto viaggiavano con me dal luogo di partenza del treno: una signora né bella né giovane, che fumava molto, con un viso smunto, un mantello e un berretto di pelliccia di foggia quasi maschile; il suo compagno, un uomo sulla quarantina, discorsivo, che aveva valigie nuove e di buona apparenza; e poi un altro signore che si teneva in disparte, piuttosto basso di statura, dai movimenti bruschi, non vecchio ancora, coi capelli ricciuti fatti grigi da un evidentemente precoce incanutimento e con gli occhi straordinariamente luccicanti, che passavano con rapidità da un oggetto all'altro. Egli indossava un vecchio pastrano con pelliccia che doveva essere stato fatto da un sarto dai prezzi cari, e aveva un altro berretto anche di pelliccia. Di sotto al pastrano, quando lo apriva, si vedeva una sottoveste e una camicia russa ricamata. La particolarità di questo signore consisteva in ciò, che ogni tanto egli emet...

Assassinio sull'Orient Express
di Agatha Christie

Sono più di 50 i misteriosi delitti che Agatha Christie ha ambientato attorno a Hercule Poirot, infallibile investigatore. La sua più celebre impresa ha per sfondo affascinante il treno Orient Express. Attraversa l'Europa da Istanbul a Calais e mentre è bloccato dalle nevi dei Balcani, qualcuno pugnala a morte un ricco americano. L’autrice, vissuta tra ‘800 e ‘900, è la più famosa giallista al mondo.

Lettura condivisa:
Erano le 7.30 di sera, e la sera era piovosa. Un forte vento di progresso ingolfava la pioggia sottile e pungente sotto la tettoia di vetro della Gare de l’Est a Parigi. Ma al marciapiede numero 8 si faceva festa. La banda della città di Parigi in giacca rossa e pantaloni blu suonava disperatamente pezzi focosi per arrivare ai caffè bollenti distribuiti nelle pause. Due ministri, diciassette presidenti di società, otto ispettori generali, un medico e sette giornalisti tutti in tenuta da viaggio, con mantelline e spolverine scozzesi battevano i piedi, quasi assiderati, anche se non avevano bisogno di aspettare le pause per ricorrere al conforto dei caffè bollenti. E peggio ancora di loro stavano i proprietari dei cappelli a cilindro e delle redingote che gremivano il marciapiede numero 8, quello destinato all’Orient Express. Il primo Orient Express del mito più che della storia.

Era la sera del 4 ottobre 1883. Le autorità e i personaggi di rilievo in tenuta da viaggio erano gli eletti che avevano ricevuto un invito del direttore generale delle ferrovie e dei vagoni-letto internazionali così concepito: «Il direttore generale delle ferrovie e dei vagoni-letto internazionali Georges Nagelmackers ha l’onore di invitare il signor XY al viaggio inaugurale di un nuovo tipo di carrozze chiamato Orient Express che avrà luogo nel mese di ottobre. La partenza da Parigi avverrà giovedì 4 ottobre alle 7.30 di sera e l’arrivo a Costantinopoli è previsto per lunedì 8 ottobre alle ore 6. I signori invitati possono, secondo quanto sceglieranno, lasciare Costantinopoli sabato 13 ottobre alle ore 3, ripetendo lo stesso percorso fatto nel viaggio di andata, per arrivare a Parigi martedì 16 ottobre alle ore 6 di sera, oppure possono partecipare a una carovana organizzata dalla Compagnia dei Vagoni Letto che seguirà press’a poco la via Costantinopoli, Adrianopoli, Filippopoli, la...

Mary Ventura e il nono regno
di Sylvia Plath (Boston)

La ragazza è in stazione pronta alla partenza del treno e saluta i genitori. L’atmosfera è spettrale, incerta. I corridoi di marmo sono neri e, come le grate nere del cancello, sembrano incanalare i passeggeri. Nere le lancette dell’orologio. Nera l’uniforme del controllore, neri i corvi che beccano sul campo fuori dal finestrino. L’atmosfera è surreale come le illustrazioni che accompagnano il testo con colori piani, rosa e blu, persone anonime, senza volto. Silvya Plath, Boston 1932- 1963; suicida per contrasti familiari.

Lettura condivisa:
il colossale sibilo del motore sul binario interrato.
«Mamma, non posso partire oggi. Non posso proprio. Non sono ancora pronta per il viaggio.»
«Sciocchezze, Mary» la interruppe suo padre in tono gioviale. «Sei solo un po’ nervosa. Il viaggio verso nord non sarà un dramma. Sali sul treno e non preoccuparti di niente finché non arrivi al capolinea. Poi il controllore ti dirà dove andare.»
«Su, avanti, da brava.» La madre di Mary le infilò una ciocca di capelli dorati sotto il cappello di velluto nero. «Sarà un viaggio facile. Tutti devono andarsene da casa, a un certo punto. Tutti devono partire, prima o poi.»

Mary cedette. «Oh, be’, d’accordo.» Si lasciò condurre attraverso il cancello di ferro battuto, giù per la rampa di cemento, dove l’aria era densa di vapore.

«Edizione straordinaria» annunciavano gli strilloni che vendevano i giornali sulle porte del treno. «Edizione straordinaria... diecimila persone condannate... altre diecimila persone...»
«Non c'è niente,» mormorò la madre di Mary «proprio niente di cui preoccuparsi.» Si fece largo tra la ressa caotica, con Mary al seguito, fino alla penultima carrozza del treno. C'era una lunga fila di sedili imbottiti rossi, color vino nella luce intensa che scendeva dal soffitto, e le giunture della carrozza erano fissate con rivetti di ottone.
«Va bene questo sedile, qui al centro?» Mr Ventura non attese la risposta, ma gettò la valigia di Mary sulla reticella. Fece un passo indietro. Mrs Ventura si accostò un fazzoletto alla bocca dipinta di rosso, cominciò a dire qualcosa, si interruppe. Non restava, d'altronde, più niente da dire.
«Arrivederci» disse Mary con tenerezza meccanica.
«Arrivederci, cara. Divertiti, allora.» Mrs Ventura si sporse per dare a Mary un bacio vago, pensoso.